MUSICA CLASSICA E ARTE  2008

1902

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G.Mahler - Sinfonia n.5
Come ogni opera di Mahler la Quinta Sinfonia ebbe gestazione lunga e laboriosa; nelle sue linee fondamentali era già conclusa nel 1902, ma solo nell'ottobre del 1904 sì effettuò la prima esecuzione pubblica, a Colonia sotto la direzione dell'autore; inoltre, forse più che in ogni altra sua opera, conobbe ritocchi, correzioni e rifacimenti, ancora prima della stampa presso Peters, fino agli ultimi anni di vita de! compositore, Mahler concepì la Quinta Sinfonia intorno ai quarantanni, nel periodo della felicità matrimoniale e poco dopo la conversione al cattolicesimo; dopo le tre Sinfonìe precedenti, che avevano impiegato la voce umana secondo varie forme e moduli, con la Quinta il compositore ritorna alia sinfonia "pura", per soli strumenti, sia pure aggruppati in vaste falangi; ritorna, dopo la pausa intima della Quarta, la prospettiva del gigantismo titanico che aveva fermentato nella Seconda e Terza Sinfonia; e perdura del pari il riferimento ad una fonte poetica: così come le tre Sinfonie precedenti avevano le loro radici in Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), la raccolta di liriche medioevali tedesche pubblicate da Arnim e Brentano, allo stesso modo (sia pure con legami più sfumati) un ciclo poetico fiancheggia e si intreccia con la Quinta i Kindertotenlieder (Canti per i bambini morti) di Friedrich Ruckert. Dai Canti di Ruckert, tardo anello di un motivo poetico, le "tombe precoci" (die fruhen Gràber), che risale ai poeti dell'Antologia Palatina, Mahler aveva scelto cinque componimenti intonandoli in un trepidante ciclo di Lieder, i cui succhi inventivi dovevano fecondare ampie zone della Sinfonia.

L'opera si divide con chiarezza in tre grandi capitoti: il primo è costituito dai primi due movimenti, il secondo dal solo Scherzo, il terzo dagli ultimi due movimenti. Il primo brano, Trauermarsch - In gemessenem Schritt, Streng. Wie in Kondukt (Marcia funebre - Con passo misurato. Rigoroso. Come un conductus), è tutto costruito secondo due poli: da una parte il tragico incedere della marcia, la crudele chiarezza degli squilli di tromba, orientati verso l'acuto come famosi modelli wagneriani: spogliati però d'eroismo, come se la spada di Siegfried tornasse fra le mani del compositore senza nessun rivale, nessun drago cui rivolgersi.
Il secondo polo è affidato al largo melodizzare degli archi (impastati con clarinetti e fagotti sopra tutti), a un tema cantabile ogni volta esposto con sottili variazioni: ora presenta tratti di inerme semplicità, ora di pathos teatrale, ora si trascolora in una citazione del primo dei Kindertotenlieder. Comune ad entrambi gli atteggiamenti espressivi è il ritmo misurato e marcato: la partitura reca l'indicazione suppletiva "come un conductus" e il termine (da conducere) vale qui per musiche di tipo processionale che accompagnano, come nel dramma liturgico medioevale, l'entrata dell'officiante o il vai e vieni dei personaggi. Anche le frasi di più lancinante cantabilità sono ancorate al plumbeo pendolo ritmico dei bassi; e la Marcia funebre, fin dalla Prima e Seconda Sinfonia, si rivela un luogo tipico dell'arte di Mahler, trattato con l'ironia del quadro di genere, lontano da ogni alone extraterreno.
Il secondo movimento, Sturmisch bewegt, mit gròsster Vehemenz (Tempestosamente mosso, con la più grande veemenza) è strettamente connesso al primo: ne sviluppa spunti rimasti colà allo stato di asserzione, ne riprende quasi alla lettera vaste sezioni. La tempesta dell'esordio (Sturmisch bewegt sarà anche l'indicazione della celebre apertura del Rosenkavalier) si ripiega in momenti di sconcertante sincerità espressiva: come il quasi recitativo dei violoncelli soli sul prolungato si bemolle dei timpani, quasi uno sguardo nelle pieghe dell'animo di Mahler, presentato con la traumatica evidenza del grande teatrante. Un grandioso corale, lontano battistrada del clima entusiastico che chiuderà la Sinfonia, è il punto d'arrivo della prima sezione dell'opera; la sua compatezza si sfalda nelle ultime battute con interventi solistici, con il ricorso a sordine e pizzicati e in fine ad una sola, neutra, nota del timpano.
Tradizionale e quindi meno complicato da decifrare a un primo contatto è il taglio del formicolante, vastissimo Scherzo, Kràftig, nicht zu schnell (Energico, non troppo veloce), spesso punteggiato dall'aggettivo keck (sfacciato, sfrontato), lo stesso usato da Mahler in Der Trunkene im Fruhling, l'inno alla vita e all'ebbrezza del Canto della terra. È una apoteosi del valzer, una pagina che arricchisce l'antologia, da Schubert a Strauss, con cui la più famosa danza del mondo è diventata il simbolo di una città e di una cultura. La bizzarra, caotica grandiosità della composizione (che tuttavia lascia spiragli a gracili serenate, come pizzicate sul liuto da un ideale Pierrot) è stata descritta con precisione dall'autore stesso, in una lettera alla moglie da Colonia dopo la prima prova del lavoro: "Lo Scherzo è un tempo maledetto! la sua storia sarà un lungo seguito di dolori! Per cinquant'anni i direttori lo prenderanno a un movimento troppo veloce e ne faranno una cosa senza senso; il pubblico, o Dio, che faccia può fare posto di fronte a questo caos che continua eternamente a partorire un mondo che dura un istante per tornar subito a dissolversi, posto di fronte a queste sonorità da ere primordiali, di fronte a questo mare che sibila, che mugghia, che ruggisce, di fronte alle stelle che danzano, di fronte a queste onde che si placano mandando lampi iridescenti?" (lettera del 16 ottobre 1904).

Il carattere primordiale e il piglio da "poeta maledetto" dello Scherzo si ritirano nell'Adagietto successivo per cedere il passo a una della più celebri Rèveries, o "cavatine" del compositore; l'orchestra si riduce ai soli archi, dentro i quali tuttavia si annida la tremula sonorità di un'arpa; il seme melodico principale deriva dalla parte conclusiva del Lied Ich bin der Welt abhanden gekommen ("Io sono perduto per il mondo"), anch'esso su testo di Ruckert e composto da Mahler nell'estate 1901, ma tutto il melos della pagina sembra ripiegarsi e ragionare sul Tristan und Isolde; un Tristan sul quale una sfumatura di autocompassione ha posato una patina di astrazione e di immobile lontananza: fra la terza e la quarta nota della frase dei primi violini si apre un'attesa piena di strazio, quindi l'incontro dissonante di do diesis alle viole e re ai violini (batt. 6) fa sentire quanto rimorso ci sia in tutto quel miele di superficie: rammemorare, da molti ritenuto l'essenza dell'arte mahleriana, costa pena e riduce l'organismo a deboli palpiti.
Dall'ultima nota dell'Adagietto, dopo un indugio che pare eterno, si sprigionano i toni festosi e ben areati del Finale (Allegro), in forma di Rondò secondo le migliori tradizioni del sonatismo classico. In questa estroversa conclusione si riconoscono agevolmente varie presenze culturali: i pedali di tonica ai bassi, le quinte bucoliche e nutrienti della Sinfonia "Oxford" di Haydn; le architetture mozartiane del Finale della "Jupiter", ma anche Ciaikovski, anche Mahler stesso con una autocitazione dell'episodio centrale dell'Adagietto; e su tutti il robusto spirito dei Meistersinger, con le risse contrappuntistiche e il benessere fisico prodotto dal contrappunto e dall'armonia diatonica. Lo schema compositivo è quello dell'accumulo, concluso dal corale già affacciato alla fine del secondo movimento che conferma la coscienza di una eredità e la posizione di Mahler sull'ultima frontiera della tradizione sinfonica tedesca.

 

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