MUSICA CLASSICA E ARTE  2008

1911

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B. Bartòk - Il castello di Barbablù
Bartók completò la sua unica opera lirica nel 1911 all'età di trent'anni. Il castello di Barbablù è basato su un testo di Béla Balàzs (1884-1949), poeta ungherese di una certa prominenza il quale tre anni dopo gli fornì lo scenario anche per la sua seconda opera scenica, il balletto Il principe di legno. Quando ebbe terminato l'opera, Bartók la presentò a una commissione di belle arti che si era riunita a Budapest nel 1911 per scegliere e finanziare la produzione della miglior opera lirica dell'anno composta da un ungherese. In quel tempo Bartók non era affatto quel che si poteva dire un compositore alle prime armi. Aveva già composto opere stupendamente colorite come la Seconda suite per orchestra, la composizione orchestrale Due ritratti e una enorme raccolta di brani per pianoforte intitolati Per bambini. Ma ciò che era ancor più importante, egli aveva già composto l'Allegro barbaro e il Primo quartetto per archi, e inoltre iniziato la raccolta e la trascrizione sistematica della musica folcloristica ungherese e di altri paesi, attività che avrebbe occupato molta della sua attenzione. Queste opere gli conquistarono un piccolo cenacolo di entusiasti ma anche l'ostilità di una notevole schiera di conservatori; fra questi erano compresi purtroppo anche i membri della commissione di belle arti, i quali gli restituirono l'opera col commento lapidario che era "ineseguibile".
Ma non vi fu verso di trattenere il musicista né il progresso del suo Castello di Barbablù. Nel 1917 II principe di legno fu messo in scena con successo e un anno più tardi II castello di Barbablù seguì all'Opera Nazionale di Budapest. Il successo fu immediato ma di breve durata: purtroppo la prima guerra mondiale rannuvolò la scena musicale, e poiché le idee politiche del librettista Balàzs costituivano un'eresia per il governo ungherese, le autorità diedero l'ordine che il suo nome venisse eliminato nelle successive rappresentazioni all'opera. Caratteristicamente, Bartók rifiutò. Nel 1918 ritirò l'opera e Budapest dovette attendere ben vent'anni prima di assistere a un'altra messa in scena del Castello di Barbablù.
All'estero i progressi dell'opera sulla ribalta lirica sono stati lenti: una compagnia ungherese la presentò al Maggio Musicale Fiorentino nel 1938, fu allestita un paio di volte in Germania, e fece una breve apparizione al New York City Center nel 1952—53. La colpa di solito veniva attribuita alla trama, giudicata piuttosto statica e praticamente priva di azione scenica. Zoltàn Kodàly, famoso collega compositore di Bartók, ha replicato a questa critica con una vigorosa raffica: "Soltanto gli incorreggibili pedanti possono continuare a domandarsi se questa sia 'veramente' un'opera o no. Che importanza ha? Chiamatela "sinfonia scenica" o 'dramma accompagnato da una sintonia', quel che importa è l'impossibilità di separare la musica dal dramma, e che in questo caso ci troviamo davanti un capolavoro, un vulcano musicale che erutta per sessanta minuti di tragedia concentrata lasciandoci soltanto un desiderio: quello di ascoltarlo di nuovo."

Balàzs utilizzò soltanto lo schema essenziale della famosa favola di Charles Perrault nella quale l'ultima moglie di Barbablù riceve le chiavi della sua casa e il permesso di aprire tutte le porte fuorché una. Aprendo la porta proibita essa trova appese le teste mozzate delle mogli precedenti. All'ultimo momento accorrono i fratelli di lei e la salvano uccidendo Batbablù e ponendo un lieto fine alla macabra faccenda. Nella versione di Balàzs (che deve qualcosa, anche se non troppo, all'Ariane et Barbe-Bleue di Maurice Maeterlinck) l'orrore subisce un processo di "interiorizzazione": la figura assume un aspetto universale, diventando "Ognuno" e "Ognuna"; le mogli non sono state decapitate ma soffrono di un "taglio" ben più atroce. Detto in poche parole, la favola del diciassettesimo secolo diventa un dramma simbolico del ventesimo.

Dopo un prologo parlato (che viene omesso nell'incisione) in cui "Il Menestrello" esorta il pubblico a mirare oltre alla superficie immediata delle cose, il sipario si alza mostrando una grande sala gotica immersa nell'oscurità. Nelle pareti sono visibili sette porte enormi. All'inizio si percepisce appena il sordo brontolio del registro grave degli archi; quindi un agghiacciante motivo ai tre note nei legni sembra balzare in aria come un pipistrello. In cima a un ripido scalone si apre una porta più piccola dalla quale fanno ingresso Barbablù e Giuditta. Da un breve scambio di parole apprendiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno: Giuditta ha lasciato la propria famiglia e il fidanzato per seguire l'enigmatico Duca Barbablù e trascorrere la sua vita con lui. Essa commenta sul freddo e l'oscurità che permeano la casa. Muovendosi a tentoni lungo il muro per trovare la strada, essa scopre che le pietre sono umide. A questo punto appare il leitmotiv principale dell'opera: non si tratta d'una melodia bensì dell'intervallo armonico dissonante di seconda minore (sol diesis-la) suonato dolcemente dai corni e ripetuto all'ottava superiore dagli oboi. E' il motivo del sangue, e da un inizio così poco appariscente esso è destinato a dominare progressivamente l'intera trama musicale. Con crescente esultanza Giuditta giura che asciugherà le pietre grondanti ed aprirà il castello di Barbablù per farvi entrare il sole e l'aria. L'orchestra comincia a ondeggiare e a gonfiarsi come per esprimere simpatia, ma la tessitura è tutt'altro che "aperta" - gli intervalli sono stretti, frastagliati e minacciosi. Giuditta nota le sette porte e insiste perché vengano aperte, battendo un pugno sulla prima. Si ode un misterioso sospiro sotterraneo (clarinetti, eolifono). Barbablù le cede a malincuore la prima chiave.

La prima porta. Con uno sfondo musicale formato da un'inesorabile tremolo dei violini (si-la diesis) viene aperta la prima porta e un varco attraverso la lunga e oscura sala. Dietro la luce Giuditta intravede i coltelli, gli elmi con le punte e le tenaglie roventi di una camera di tortura. Ora si rende conto che l'umidità sulle pareti è sangue (la seconda minore risuona nelle trombe in sordina e nei clarinetti). Nuovamente Giuditta grida con veemenza che devono entrare il sole e l'aria, ed ancora una volta l'orchestra sembra assecondare ma allo stesso tempo negare il suo desiderio. Essa strappa la seconda chiave dalle mani di Barbablù.

La seconda porta. Mentre nei flauti si dilegua il tremolo, i legni e le trombe suonano una ritirata. Un altro raggio di luce esce dalla seconda porta, questa volta di un colore giallo-rosso, rivelando un arsenale di armi incrostate di sangue (sol diesis - la nei corni). Giuditta cammina lungo il raggio di luce, rallegrandosi perché a poco a poco l'aria triste del castello va scomparendo. In uno stupendo arioso accompagnato dall'arpa e da un corno solista, Barbablù esprime i suoi sentimenti contrastanti di speranza e disagio. Reagendo all'insistenza della consorte (echeggiata dalla sua linea vocale ascendente) egli le porge le chiavi delle prossime tre porte. Giuditta esita per un attimo davanti alla terza quindi la apre.

La terza porta. Nell'atmosfera della musica subentra un cambiamento. La sonorità si alleggerisce e diventa delicata. Sostenuta da un lungo accordo di tre trombe, violoncello e tremolo di flauto, Giuditta caccia un grido di gioia: "Montagne dorate!" Un raggio di luce dorata irradia monete, diamanti,perle, corone reali e velluti. Due violini solisti aggiungono un tocco di magia alle sue esclamazioni. Poi improvvisamente essa nota alcune macchie di sangue sui gioielli e le corone, e il terribile motivo del sangue comincia a stridere, sforzando, nei flauti e negli oboi. Barbablù la esorta ad aprire la quarta porta.

La quarta porta. Un lungo preludio orchestrale ritrae la scena che Giuditta vede davanti a sé prima di parlare: mentre la luce brilla di un verde-blu, gli archi scintillanti e un corno sembrano librarsi sempre più in alto per unirsi ai fiati nel registro acuto, descrivendo in termini musicali un giardino fiorito; qui abbiamo una anticipazione dei "suoni della terra" della musica strumentale più tarda di Bartók, in cui verso la fine gli uccelli e gli insetti trillano e stridono nei flauti. Ma sui gambi delle rose, sulla terra che nutre i gigli - ecco che è nuovamente visibile il sangue. Giuditta si avvia frettolosamente verso la prossima porta.

La quinta porta. Un accordo travolgente di puro do maggiore del tutti sostenuto da un organo in pieno, scaturisce dalla fossa orchestrale mentre una luce abbagliante si riversa dalla quinta soglia. Giuditta contempla il regno di Barbablù: prati, foreste, fiumi e montagne. Tre volte il cataclisma sonoro in triplice forte commenta la scena mentre Barbablù canta dei suoi domini e Giuditta esprime il proprio sgomento. Ma le nuvole gettano un'ombra di sangue; le seconde minori riappaiono elusivamente nell'armonia stridente dei tromboni accompagnati da un tremolo d'archi. Ora Barbablù supplica Giuditta di non indagare oltre; la sala è illuminata con la luce di cinque porte aperte. Ma essa insiste: fra loro non deve esserci alcun segreto. La sesta porta si schiude con un cigolio di cardini, e dall'interno esce un lamento.

La sesta porta. Quando viene aperta la sesta porta, la scena si ottenebra. Un agghiacciante arpeggio in la minore, orchestrato con superba maestria, inizia quasi come un brivido nella spina dorsale. Inizia, cessa e ricomincia da capo. Le note più alte dell'arpeggio (sol - sol diesis) formano il funesto intervallo del motivo del sangue. Giuditta scorge davanti a sé l'ampia distesa di un lago pallido e immobile. "Lacrime, Giuditta, lacrime, lacrime" spiega tre volte Barbablù con accenti discontinui, e giura che l'ultima porta rimarrà chiusa. Giuditta, stranamente intenerita, lo implora. In quello che potrebbe essere quasi un duetto d'amore essa gli domanda se prima di lei vi sono state altre donne nella sua vita; Barbablù risponde evasivamente. Giuditta si allontana da lui e, mentre le seconde minori si percuotono l'una sull'altra nell'orchestra, lo accusa di aver assassinato le mogli precedenti e di aver nascosto i loro corpi nella settima stanza. Egli le cede l'ultima chiave. A questo punto si ode una stupenda e tragica melodia

La settima porta. Mentre si apre la settima porta, la quinta e la sesta si chiudono adombrando notevolmente la scena, poiché la luce emanata dall'ultimo uscio non è che un pallido barlume di un colore argenteo come la luna.
Tre dame vestite sontuosamente con abiti regali escono dalla stanza fermandosi in silenzio davanti a Barbablù e Giuditta. "Sono vive!" mormora Giuditta con stupore. In un arioso di accordi sostenuti, Barbablù spiega che sono le sue mogli precedenti. Ha incontrato la prima al rossore dell'alba, la seconda nella luce dorata del mezzogiorno, la terza nella pallida sera. E Giuditta l'ha incontrata in una notte stellata. Mentre parla si chiude la quarta porta. Dalla soglia della terza egli prende corona, mantello e gioielli e la adorna. Debole e pietosa, Giuditta protesta ma viene anch'essa imprigionata nell'intreccio del motivo del sangue, e la sua linea vocale è interamente limitata all'intervallo della seconda minore. Curvandosi sotto il peso di tale eleganza vistosa, Giuditta segue le tre donne attraverso la settima porta, che si chiude dietro a loro. "D'ora in poi sarà notte eterna" sospira Barbablù. L'ultimo uscio si è chiuso, la sala ritorna nell'oscurità e la musica con la quale era iniziata l'opera ora la porta a una conclusione.

Il simbolismo è sempre un'arma con due lame taglienti: mentre da un lato può allargare ed arricchire il significato, vi è anche il pericolo che possa renderlo più vago e oscuro. Ancora non si sono trovate due opinioni concordanti sul significato del messaggio nel Castello di Barbablù. Forse la spiegazione più chiara e plausibile è quella di Serge Moreux (Béla Bartók, Londra, 1953), il quale sostiene inoltre che Bartók abbia approvato la sua interpretazione. Che sarebbe la seguente: "Forse nel mondo interiore dell' uomo vi sono dei segreti nascosti; ognuno di noi racchiude il meglio ed il peggio, per virtù della nostra condizione materiale. [...] Soltanto la raggiante ebbrezza di un nuovo amore può talvolta dissipare questa oscura minaccia; ma la nuova donna nella vita di un uomo deve essere discreta; gli aspetti nascosti della personalità dell'uomo sono proibiti a lei e, soprattutto, quelli in cui [...] vivono gli amori del passato." Questi angoli nascosti - le stanze che si trovano dietro alle sette porte - hanno una progressione logica oltre che drammatica. Dalla crudeltà bestiale e la sete di potere (la camera delle torture, la guerra) passiamo ai piaceri dei beni materiali e l'appagamento estetico (l'oro e i gioielli, il giardino), il dominio su un regno grande e pacifico (i domini di Barbablù), l'amarezza della consapevolezza di sé e l'auto accusa (il lago di lacrime), e finalmente la camera nella quale rimane - immortale - la memoria, anche se i suoi "oggetti" non sono più raggiungibili (la camera delle mogli). E' necessario aggiungere soltanto che Bartók ha trovato la giusta espressione musicale per ciascuna componente di questo ampio disegno, ma senza mai perdere di vista l'insieme. Alla fine rimaniamo sorpresi, non tanto dalla complessità del Castello di Barbablù quanto dalla sua meravigliosa semplicità.

 

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