MUSICA CLASSICA E ARTE  2008

1931

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B.Bartok - Concerto n.2
Nell'ottobre del 1930 Bartók cominciò a scrivere il Concerto n. 2 «da affiancare al Primo», dichiarò più tardi, «con meno difficoltà per l'orchestra e anche meno difficile tematicamente». Il Concerto fu terminato nell'ottobre del 1931 ed eseguito da Bartók alla radio di Francoforte sul Meno, all'inizio del 1933, sotto la direzione di Rosbaud. Poi il Concerto fu eseguito a Budapest, il 2 giugno 1933, da Lajos Kentner, sotto la direzione di Otto Klemperer, e a Vienna il 7 giugno, sempre con la Filarmonica di Budapest sotto la direzione di Klemperer, ma con Bartók al pianoforte.
Negli anni 30 Bartók comparve frequentemente in pubblico come pianista, eseguendo il Concerto n. 2 altre ventuno volte dopo la "prima" (è a proposito dell'esecuzione radiotrasmessa da Bruxelles, del 3 febbraio 1937, che Bartók scrisse alla signora Muller-Widmann di Basilea: «purtroppo anch'io mi sono qualche volta impaperato»).
Un'esecuzione di Bartók radiotrasmessa da Badapest, il 22 marzo 1938, con Ernest Ansermet sul podio, fu incisa su disco da un tecnico, Istvàn Makai, per incarico di un'ammiratrice di Bartók, una certa signora Babits. Disgraziatamente, il tecnico potè incidere solo frammenti dell'esecuzione, per un totale di 15'41" su circa 25', e le matrici ci sono per di più pervenute molto deteriorate, tanto da limitare gravemente il valore del rarissimo, eccezionale documento.
Negli Stati Uniti, dove era emigrato dopo lo scoppio della guerra, Bartók eseguì il Concerto n. 2 una sola volta, a Chicago nel novembre del 1941 sotto la direzione di Frederick Stock5. Nel dopoguerra il Concerto n. 2 fu eseguito di rado: sono da ricordare le esecuzioni (tutte incise) da Géza Anda, di Andor Foldes, di Sviatoslav Richter, di Daniel Barenboim, e più recentemente di Pollini e di Ashkenazy.

In una breve analisi, scritta nel 1937 per la stazione radio di Losanna, Bartók richiamò l'attenzione sulle strutture classiche del Concerto, sull'unità tematica di primo e terzo tempo («il terzo tempo è, con l'eccezione di un solo nuovo tema, una libera variazione del primo tempo») e sulla simmetria della forma complessiva — «primo tempo, adagio, scherzo (il centro), variazione dell'adagio, variazione del primo tempo» — aggiungendo di aver impiegato lo stesso tipo di simmetria formale nei quartetti n. 4 (1928) e n. 5 (1934). Si tratta della cosiddetta "forma ad arco", a cui prima accennavamo, da Bartók prediletta per l'armoniosità classica delle simmetrie e da lui impiegata soprattutto negli anni 30, che viene qui messa in rapporto con le strutture classiche del concerto.

Il primo tempo del Concerto n. 2 è scritto per pianoforte, strumenti a fiato e percussioni. Le sonorità prevalentemente percussive del pianoforte ed i ritmi fortemente scanditi danno il colore di fondo a tutta la composizione, che anche sintatticamente e linguisticamente è basata non solo, come dicevamo, su strutture tradizionali, ma su temi dal profilo tonale molto netto (il Concerto è in sol). Fu subito notata la somiglianza tra il primo inciso tematico — esposto all'inizio dalla tromba — e il tema della Berceuse nell' Uccello di fuoco di Stravinsky. Più che di derivazione di Bartók da Stravinsky si deve parlare di comuni matrici nel folclore slavo, ed il primo tempo del Concerto n. 2 si colloca proprio come manifesto dell'esperienza bartokiana degli anni 30, del maturo ritorno alle origini dopo l'assimilazione, negli anni 20, delle avanguardie della musica occidentale.

Il secondo tempo, come abbiamo visto, inserisce uno Scherzo tra esposizione e riesposizione variata di un tema in movimento lento. Si può osservare che qualcosa di simile era accaduto nel secondo tempo del Concerto n. 1 di Ciaikovsky; ma, mentre in Ciaikovsky la parte centrale era chiaramente subordinata alle parti estreme, in Bartók lo Scherzo assume un rilievo grandissimo, tanto che si potrebbe parlare di scherzo con preludio e postludio.
L'Adagio iniziale è del tipo dei movimenti lenti bartokiani che vengono detti musica della notte e che derivano indirettamente dalla Canzona di ringraziamento offerta alla Divinità da un guarito del Quartetto op. 132 di Beethoven: corale degli archi (a sei parti, pianissimo, con sordina, non vibrato), breve episodio meditativo di pianoforte e timpani, ricapitolazione del corale, brevissima conclusione di pianoforte e timpani. Nel Presto centrale Bartók riprende il colore sonoro del primo tempo, aggiungendovi lo sfondo appiattito e neutro degli archi in sordina (prevalentemente con tremoli e pizzicati, che lo rendono ancor più sfuggente e indistinto). La ripresa dell''Adagio è una variazione soprattutto dinamica della prima parte: musica notturna per eccellenza, che inizia con misteriosi brusii, si gonfia sino ad un culmine, si spegne progressivamente su suoni profondissimi di pianoforte, timpani, violoncelli e contrabbassi, a cui s'aggiunge il lontano, arcano risuonare del tam-tam (il tam-tam esegue, il tutto il Concerto, tre soli suoni, due nel primo tempo ed uno alla fine del secondo tempo).

Il terzo tempo è quello più direttamente legato alla tradizione virtuosistica del pianoforte: la difficoltà tecnica del primo e del secondo tempo era molto elevata ma non appariscente perché la velocità non risultava abbastanza alta o, quando lo era {Scherzo del secondo tempo), nessun ascoltatore poteva capire quanto risultassero ardui, ad esempio, i passi in doppie seconde.
Le doppie terze, le doppie seste, le doppie ottave del finale sono invece eseguite a velocità rispondenti a concezioni tradizionali del virtuosismo di bravura, e le doppie ottave, in particolare, richiamano subito le prodezze che il pianista deve saper sostenere nel Concerto n. 1 di Liszt o nel Concerto n. 1 di Ciaikovsky. Anche un lungo passo delle due mani in ottava ricorda un passo analogo del Primo di Ciaikovsky, ed un passo in arpeggi ricorda la fine del Concerto n. 2 di Brahms.
Il carattere di citazione stilistica, e non di riecheggiamento accademico della tradizione, che appare senz'ombra di dubbio anche al più disattento degli ascoltatori, dipende a parer nostro da una trovata sorprendente: il finale del Concerto n. 2 di Bartók comincia come la conclusione di un concerto tradizionale, con grande arpeggio in crescendo del pianoforte su rullo di grancassa, sfociante in un secco, stridulo re di tutta l'orchestra. Da questo inizio inusitato e bizzarro si sviluppa il dialogo pianoforte-timpani che diventa l'elemento portante della composizione. Tutto il finale acquista così il senso retrospettivo di riconquista critica della tradizione, ed apre la via, come abbiamo detto a suo luogo, al ritorno del virtuosismo che caratterizza la seconda fase, gli anni 30, del neoclassicismo.

 

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