MUSICA CLASSICA E ARTE  2008

1888

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G. Faurè - Requiem
Messe de requiem per soprano, baritono, coro misto, organo e orchestra op. 48
In questa composizione Fauré abolisce ogni eccesso tragico, ogni empito melodrammatico, quali si è soliti ritrovare nel genere del Requiem (vedi i capolavori di Berlioz o di Verdi), preferendo affidarsi a una linearità salmodiante di voci e di strumenti.

Ogni brano del lavoro appare in tal modo nutrito della sacralità modale proveniente dalla tradizione chiesastica, sì che anche nei momenti più tenebrosi, come negli accenti tragici dell'Agnus Dei e del Libera me, resta una inconfondibile intonazione mistica, estatica, per cui la morte non vi è sentita come una tragedia, ma piuttosto come la liberazione dalla schiavitù del corpo, il trascendimento di ogni esperienza terrena.

Aperto da alcuni robusti accordi, l'Introito espone una solenne frase in re minore, che viene dapprima cantata dall'intero coro e poi ripetuta dai soli tenori; subito segue il Kyrie, affidato al coro, caratterizzato dal ricorrere di arcaiche cadenze piagali (sottodominante-tonica) e segnato da una soavità carica di mistero.

Costruito in stile imitativo è l'Offertorio, in cui il baritono fa la sua apparizione sulle parole "Hostias et preces".

Nel Sanctus, composto nel modo antico ipofrigio, l'atmosfera è resa vieppiù incantata dalle sonorità dell'arpa e del coro di fanciulli (che può qui, ad libitum, sostituire le voci femminili) associate a quelle degli ottoni e dei violini, questi ultimi presenti per la prima volta nel lavoro.

A tale proposito va osservato che il Requiem impiegò diversi anni ad assumere la forma definitiva, e che aveva conosciuto originariamente una versione per organico ridotto, senza violini e senza legni, prima del 1888, anno della sua presentazione al pubblico nella chiesa parigina della Madeleine.

Pagina estatica è anche il Pie Jesu che, cantato dal soprano, segue al Sanctus.

E non meno intenso è il corale Agnus Dei successivo, in cui emerge un tema orchestrale di grande respiro, trattato con tecnica imitativa.

Nel Libera me, Domine il baritono espone figure intensamente espressive che predispongono a un seguente episodio corale in cui il testo del Dies ìrae viene intonato con gravità d'accento e col conforto degli ottoni.

Ma nella conclusione, pure corale, In Paradisum, l'atmosfera torna a farsi serafica, pervasa dalle sonorità fuse dell'organo, degli archi e dell'arpa, entro le quali si distende un'immateriale melodia cantata dalle voci angeliche dei fanciulli (o dei soprani).

 

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