La storia non è
un ininterrotto fluire del tempo, ma una
sequenza vitale di epoche diverse, ognuna
con un proprio ritmo e configurazione
originale. Non c'è dubbio che molto dipende
da fattori contingenti, da colpi del
destino, propizi o fatali che siano; ma con
tutto ciò è anche vero che si possono
ravvisare in ogni epoca tendenze di sviluppo
regolari, almeno nel senso più generale di
evoluzione e dissoluzione, di lenta
germinazione, fioritura e decadenza. Ciò
vale sia per i singoli aspetti e momenti che
in senso più generale; così, in una
prospettiva storico-culturale, anche un
considerevole periodo di tempo — un secolo
ad esempio - si profila come qualcosa di più
che un semplice quadro cronologico segnato
da determinate date ed eventi; esso viene
infatti ad indicare al tempo stesso tutta
una serie di idee e sviluppi, di
atteggiamenti ed esigenze spirituali. Ogni
epoca ha un proprio "spirito"
caratteristico. Una particolare attenzione
va rivolta a quelle epoche in cui diversi
processi evolutivi vengono a sovrapporsi, a
quei periodi di rivolgimenti in cui si può
avvertire sia la continuità della tradizione
che le innovazioni precorritrici.
Se esaminiamo il trapasso dal XIX al XX
secolo, e se vogliamo qui ricercare una
personalità che incarni il vecchio come il
nuovo secolo, l'ultima fioritura della
grande tradizione romantica e al tempo
stesso l'inizio di una nuova epoca, allora
non potremo non pensare a Gustav Mahler.
Nessun altro più di lui ha saputo infatti
formulare in modo così valido le ambiguità
del trapasso dall'Ottocento al Novecento, ha
fatto risplendere grandiosamente ancora una
volta in tutto il suo fulgore il passato ed
altresì espresso in tutta chiarezza il
dolore per il suo tramontare, le lacerazioni
proprie del secolo appena cominciato,
accennando però al contempo anche le vie dei
suoi futuri sviluppi.
"Il trapasso da un secolo all'altro": questa
non è soltanto un'espressione indicativa di
un fatto esteriore e oggettivo, ma è anche
un concetto con attributi enfatici. In tale
visione la posizione storica di Mahler non è
solo il fin de siede verso cui ci si può
sentire attratti in un'esaltazione
nostalgica, ma appunto anche l'inizio d'un
nuovo secolo, di una nuova realtà
spirituale. Ciò si può rilevare in vari modi
nella sua musica, ed anche nella Nona
Sinfonia, che già esteriormente può essere
considerata una summo della produzione di
Mahler e il suo testamento.
Composta nel 1908/09 ed eseguita per la
prima volta sotto la direzione di Bruno
Walter nel 1912 (un anno dopo la morte
dell'autore), la Nona è l'ultima
composizione portata a compimento da Mahler.
Già un esame delle tonalità è
particolarmente informativo: la Sinfonia
inizia in re maggiore e termina in re
bemolle, che per la teoria tradizionale è
nel circolo delle quinte la tonalità più
lontana da re. "Lontananza" si può intendere
qui non solo come un concetto
teorico-musicale ma anche in senso
metaforico. Sarebbe anche appropriato un
altro vocabolo: "straniamento". E in effetti
non c'è più una tonalità fondamentale che
risuoni senza fratture per ampi tratti:
oscillazioni tra modo maggiore e minore,
modulazioni per 'vie traverse' e improvvisi
balzi armonici mettono sempre in forse le
superfici tonali o le eludono volutamente.
Descrivere tali procedimenti musicali in
maniera esclusivamente analitica sarebbe
insufficiente, essi hanno infatti un
significato emozionale. Con questo tipo di
straniamento Mahler fa proprio un principio
fondamentale della musica romantica,
d'ascendenza schubertiana e che è anche
caratteristico di Bruckner: l'immediato
alternarsi di modo maggiore e minore come
modulo per creare delle sfumature di
carattere, l'oscillazione tra le tonalità
come ambivalenza espressiva. Ma Mahler sa
intensificare all'estremo i moduli
tradizionali e porta il linguaggio armonico
ad un punto limite, sì che ulteriori
differenziazioni spezzerebbero gli ambiti
del vecchio sistema. In altre parole, nella
Nona Sinfonia si riscontrano formulazioni
che infrangono il quadro delle possibilità
espressive delineate in epoca romantica, e
che le sostituiscono con costellazioni
linguistiche nuove e moderne. Non si può
dire che la musica di Mahler sia già atonale
(non lo è mai), ma essa ha aperto la strada
a quelle soluzioni che si ponevano come
logica conseguenza: quelle di Arnold
Schònberg.
Oltre che nell'impianto armonico, è
soprattutto in quello formale che Mahler
riprende e modifica in modo decisivo i
vecchi procedimenti, oppure li sostituisce
con dei nuovi. Per l'abbandono dello schema
consueto nella successione dei movimenti
d'una sinfonia - nella Nona di Mahler due
movimenti estremi di tempo lento
incorniciano due movimenti intermedi di
tempo mosso, sul tipo dello Scherzo - si
possono trovare dei modelli, per esempio la
Nona di Bruckner e la "Patetica" di
Ciaikovski. Ancor più determinante è in
Mahler la configurazione interna dei
movimenti stessi. E qui si può ancora
cogliere come gli antichi modelli -
forma-sonata, Lied, rondò, variazione ecc. —
non siano più sufficienti. Mahler li fonde
in nuovi complessi formali, e soprattutto
congiunge i due tipi principali della
strutturazione formale, i principi dello
sviluppo e dell'allineamento, per esempio
quando forma di Lied e variazione sono fuse
con passaggi caratterizzati da una rigorosa
elaborazione motivica e contrappuntistica.
Completamente nuovo è il procedimento
mahleriano di strutturare i movimenti non
più solo nel senso di una costruzione
organica in progressiva intensificazione, ma
anche come una combinazione di singoli
episodi sul tipo del collage. Così proprio
nel primo movimento si può rilevare la
presenza simultanea, anzi spesso la
contrapposizione di procedimenti musicali
diversi, che a prima vista non hanno
assolutamente nulla a che fare tra loro e
sono combinati in modo 'immotivato', spesso
sorprendente, in contrasto con l'idea
tradizionale di coesione stilistica. Ma
possiamo dire con Adorno che "nella musica
c'è un'organicità di grado più elevato che
lascia in sospeso quella stilistica". Questo
grado più elevato non è più, o meglio non è
più unicamente rappresentato dal tipo della
Sinfonia tradizionale, in cui un tutto
organico è sviluppato dialetticamente, ma si
realizza spesso in un fenomeno musicale che
ha ogni volta una propria fisionomia, dove -
spesso simultaneamente - accanto a strutture
di tipo tradizionale si presentano certi
elementi eterogenei, certe disorganicità,
fratture, contraddizioni e giustapposizioni
formali.
Ora, tutto ciò non ha in Mahler niente a che
fare con un desiderio puramente manierato di
sperimentazione formale, ma si pone
unicamente al servizio della sua originale
volontà espressiva. Era infatti persuaso che
la musica consistesse in qualcosa di più che
in "forme animate di suoni", come aveva
preteso Eduard Hans-lick, il grande critico
amico di Brahms, e che essa potesse e
dovesse piuttosto mediare dei contenuti.
''Scrivere
una sinfonia significa creare un mondo con
l'ausilio di tutti i mezzi che sono a
disposizione", questo era il fulcro della
poetica musicale di Mahler.
La visione musicale che Mahler aveva del
cosmo - se ciò si può ridurre ad una formula
- si può tratteggiare con due concetti
fondamentali. Da una parte, in piena
consonanza con la tradizione del secolo XIX,
c'è l'anelito di riscatto: la musica viene
intesa - corrispondentemente all'idea
romantica dell'arte-religione - come ricerca
mistica di realtà trascendenti, come
espressione di struggimenti umani e
rivelazioni sovrumane. Dall'altra parte però
- e qui si manifesta una visione
assolutamente moderna, profeticamente
anticipatrice di quel senso della vita che
sarà proprio di generazioni future - c'è in
Mahler la raffigurazione della
frammentarietà, delle lacerazioni
insanabili, ci sono le esperienze del
fallimento, le incrinature dell'esistenza
umana. Ma nemmeno questa è l'ultima parola
detta da Mahler; al di sopra di tutto c'è la
speranza. "Nessuno finora è stato elevato
quasi in cielo in potere d'una musica così
estremamente fervida, esaltante e
visionaria, più di quest'uomo ardente,
divino, glorioso", scriveva già nel 1918
Ernst Bloch nel suo "Geist der Utopie"
(Spirito dell'utopia). E ciò si può notare
meglio che altrove alla fine del IV
movimento - un episodio che è qualcosa di
più d'una semplice conclusione in senso
formale, e che costituisce il fine vero e
proprio dell'intera Sinfonia. La musica -
con i'indicazione (Estremamente lento —
morendo) - si fa sempre più sommessa, per
poi finire, dissolversi quasi. "Ciò che alla
fine rimane e con cui l'opera si spegne è .
. . l'ultimo suono che si smorza, che
svanisce lentamente su un punto coronato in
pianissimo. E poi non c'è più nulla -
silenzio e notte. Ma quel suono che continua
a vibrare librato nel silenzio, che non è
più, cui porge ascolto soltanto l'anima, e
che era l'epilogo di una sofferenza, ora non
è più, cambia il proprio senso, sta come una
luce nella notte." Queste parole sono di
Thomas Mann e si riferiscono all'ultima
opera di Adrian Leverkùhn, il protagonista
del "Doktor Faustus", ma si ispirano alla
partitura di Mahler. E che questa
interpretazione non è una deformazione
letteraria, ma risponde invece nel modo
migliore alle intenzioni del compositore, è
ancora sottolineato dal fatto che
nell'ultima pagina della partitura, nella
parte dei violini, Mahler cita quel passo
dal quarto dei suoi Kindertoteniieder, là
dove il testo dice "Der Tag ist schòn auf
jenen Hòh'n" (Il giorno è bello a quelle
altezze). La stessa commovente visione del
paradiso celeste si libra sulla conclusione
della Nona Sinfonia. Visti in questa
prospettiva, tutti i momenti precedenti di
profondità abissale, tutte le immagini
spettralmente macabre o impressionanti di
dissoluzione, agonia e marcia funebre,
l'affannoso respiro che pervade la Sinfonia
come un tema interno, le impennate e le
cadute, i fallimenti e le lacerazioni
vengono a ricevere un nuovo, ultimo
significato, quello della consolazione e del
riscatto.
L'ultimo grande sinfonista radicato nella
tradizione del secolo XIX ha dato impulso a
nuovi orientamenti musicali, e questa sua
funzione non è rimasta limitata alla
generazione immediatamente seguente -
soprattutto Arnold Schònberg con i suoi
allievi Anton Webern e Alban Berg - ma
mantiene ancor oggi la sua validità. Se
illustri compositori contemporanei — si
pensi solo a Gyòrgy Ligeti e Luciano Berio
per la generazione più anziana, e a Wolfgang
Rihm per i giovani - si richiamano a Mahler
in maniera diversa, ciò significa che le
energie innovatrici che scaturiscono dalla
sua musica sono ben lungi dall'essersi
esaurite., Esse toccano i più diversi
aspetti del linguaggio mahleriano. Un primo
elemento è offerto per esempio dall'impiego
estremamente raffinato delle risorse della
dinamica. Spesso avviene infatti che nello
stesso tempo alcuni strumenti suonano in
pianissimo ed altri in fortissimo, che
alcuni presentano un crescendo ed altri un
diminuendo. In tal modo si creano diversi
strati di sonorità, che sottolineano ancor
più il carattere di collage dell'assunto
formale e al tempo stesso creano particolari
spazi sonori, con effetti di ravvicinamento
ed allontanamento. Le differenziazioni
spaziali hanno qui un ruolo essenziale: la
Sinfonia diviene uno spazio musicale in cui
sonorità simultanee appaiono in una
graduazione prospettica. Qui si avverte
manifestamente quale fosse la professione
esercitata da Mahler per tutta la vita:
quella di direttore e regista operistico. Le
sue partiture hanno spesso il carattere di
una "messa in scena", e per far solo un
esempio, basterà esaminare il II movimento
della Nona, Im Tempo eines gemàchlichen
Làndlers (Nel tempo di un comodo Làndler).
Il tema principale di accento rustico, Etwas
tappiseli undsehr derb (Un po' goffo e molto
vigoroso), subisce nel corso del movimento
numerose trasformazioni, che nella
terminologia analitica si possono definire
aumentazione, diminuzione, collegamento
polifonico o elaborazione contrappuntistica
di vario tipo. Ma ciò dice ben poco se noi
vogliamo cogliere e sentire in profondità
quel che fa qui il compositore: in un'ampia
spirale di sempre maggiore intensità, che si
avvia sempre di nuovo per innalzarsi
progressivamente, egli porta il tema ad
altezze impensate. Questo tema sembra 'uscir
fuori di sé', trascinato nell'ebbrezza e
delirio di un valzer entusiastico, viene
addirittura potenziato fino all'estremo
mediante le scelte d'i strumentazione e
tempo, e si muove quasi in una danza
ansante, per poi ritrovare se stesso - ancor
sempre un po' stravolto. Si ha così una
bizzarra visione di tutto quello che può
diventare un "comodo Làndler". Musica come
messa in scena - e qui rimane aperta la
questione se i singoli procedimenti musicali
si debbano intendere come vicende concrete
nel senso della musica a programma (assai
spesso s'impongono all'ascoltatore
associazioni letterarie o figurative) o se
rappresentino invece una specie di dramma
astratto, una sequenza di gesti e azioni, di
situazioni psicologiche, di esperienze e
angosce individuali. Ma alla fine c'è quella
prospettiva conciliante, confortante, che
significa qualcosa di più che non la
semplice conclusione di questa Nona
Sinfonia: appare come il testamento di tutta
l'attività creatrice di Mahler. |