MUSICA CLASSICA E ARTE  2008

1929

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Igor Stravinskij - Capriccio
"Consacrai la maggior parte dell'anno 1929 alla composizione del Caprìccio che avevo incominciato verso il Natale dell'anno prima.
Come spesso mi accadeva, dovetti interrompere parecchie volte questo lavoro a causa dei miei inevitabili spostamenti.
Per questo motivo scrissi un nuovo concerto al quale diedi il titolo di Capriccio: titolo che rispondeva meglio al carattere della sua musica.
Pensavo alla definizione di un 'capriccio' data da Pretorius, il celebre musicologo del XVII secolo. Egli vi scorgeva il sinonimo di una "fantasia", che era una forma libera di pezzi strumentali fugati. Tale forma mi dava la possibilità di far procedere la mia musica accostando degli episodi di genere vario che si susseguono e che, per la loro natura, danno al pezzo il carattere capriccioso da cui prende il nome.
Un compositore, al cui genio si confaceva mirabilmente questo genere, fu Cari Maria von Weber; e non è strano che, durante il mio lavoro, io abbia soprattutto pensato a lui, a questo principe della musica."

Nei primi due tempi del Capriccio si raggiunge invece il culmine della scrittura pianistica "classica" che Stravinsky aveva individuato con la Sonata e con la Serenata. E in orchestra, come nel Pulcinella, viene usato un quartetto d'archi solisti, denominato concertino, in alternativa alla massa (ripieno).

Ma nel finale compaiono le doppie ottave, le seste e ottave, le doppie note che ci riconducono a tipi di tecnica virtuosistica impiegati da Weber. E se non proprio direttamente a Weber, il finale si riallaccia a schemi del concerto ottocentesco che, seppure con una certa parsimonia, si avvicinano al concetto di bravura.

Nel primo tempo del Capriccio Stravinsky non adotta forme né classiche né barocche, né contaminazioni tra le une e le altre, ma costruisce l'architettura secondo un principio, classico in senso a-storico, di simmetrie.
Come nel Concerto, l'introduzione trova il pendant nella conclusione; qui l'introduzione non contrasta però espressivamente con il corpo principale dell'opera. L'introduzione contiene invece in sé il contrasto nelle due brevi sezioni, entrambe ripetute, in cui si articola: il Presto e il Doppio movimento.
La simmetria è calcolata in modo minuzioso (Pretorius non docei), perché all'introduzione in due parti segue (con cambiamento di metro, da 4/4 a 2/4) il tema principale, a questo un tema secondario derivato dal secondo tema dell'introduzione, poi un divertimento su una variante del primo tema dell'introduzione, quindi di nuovo il tema secondario, un episodio di transizione, il tema principale, un altro episodio transizione, la riesposizione dell'introduzione. L'introduzione viene quindi ripresa, oltre che alla fine, al centro, e la schematicità della simmetria così risultante viene "corretta" con l'inserimento di due episodi di transizione fortemente caratterizzati e diversificati (il primo in contrappunto rigoroso a quattro voci, il secondo a modo di danza caraibica).

La classicità dell'impianto architettonico viene però completamente sconvolta da una inconsueta particolarità del piano tonale:
1 — Introduzione — la minore
2 — Tema principale — sol minore
3 — Tema secondario — sol maggiore
4 — Divertimento — sol minore
5 — Tema secondario — fa maggiore
6 — Episodio di transizione A — mi bemolle maggiore
7 — Tema principale — sol minore
8 — Episodio di transizione B — sol minore
9 — Introduzione — sol minore

Una simmetria architettonica regolarissima, con inizio e fine nella stessa tonalità, avrebbe creato il massimo della solidità della forma e della tranquillità contemplativa dell'ascoltatore. Lo sbalzo di tonalità tra l'introduzione e il corpo maggiore della composizione crea invece una tensione che non viene sciolta alla fine perché il prevedibile ritorno conclusivo del la minore non si verifica.

Sia con il piano tonale, sia con l'inserimento nella seconda parte dei due episodi di transizione, nella architettura retta da principi classici viene innestato un elemento di arbitrio, di deformazione individualistica che dà ragione delle vere, irrazionalistiche motivazioni della poetica neoclassica di Stravinsky.
Il secondo tempo, in forma di canzone, riunisce caratteri stilistici contrastanti. Nella prima parte una melodia accompagnata, settecentesca, è esposta dall'orchestra con ornamentazioni sovrapposte del pianoforte. La seconda parte è un drammatico recitativo, affidato principalmente al pianoforte, che ricorda, almeno come "situazione", la parte centrale nel Larghetto del Concerto n. 2 di Chopin. E nella riesposizione variata, in cui viene inserita una cadenza del pianoforte, compaiono anche le volatine vaporose che tanto piacevano agli interpreti chopiniani più salottieri. Nella penultima battuta, su una scala rapida che copre cinque ottave, Stravinsky suggerisce anzi un modo di esecuzione tipico, il passaggio dal perle al velluto, prescrivendo all'inizio possibile non legato (cioè «non legato quanto è possibile») e alla fine poco a poco più legato.
L'impianto tonale del seondo tempo è costruito sul rapporto fra la bemolle maggiore (primo tema) e fa minore (secondo tema), con ritorno al la bemolle maggiore nella deposizione. Il secondo tempo non termina però in la bemolle maggiore ma in do maggiore, con un sol che diventa nota di collegamento con il finale in sol maggiore, attaccato senza soluzione di continuità.

Si può dire che anche lo Stravinsky del Capriccio, come il Ravel del Concerto in sol iniziato nello stesso anno, tenesse d'occhio Saint Saéns e la sua estetica manieristica: il terzo tempo del Caprìccio è tutto "leggero", tutto arieggiante alla polka e al can-can.
Dopo una misteriosa introduzione, che sembra richiamare il tema principale del primo tempo, viene esposto un temino saltellante che potrebbe benissimo trovarsi a casa sua nelle Bicbes di Poulenc (1924). Altrettanto "leggero" è il secondo tema, ma più lieve, di una sofisticata eleganza parigina che in Stravinsky — giovanotto, come diceva Debussy, che pestava i piedi alle signore mentre baciava loro la mano — non avremmo mai sospettata.

Il tono follemente frivolo viene corretto dalla ripresa del primo tema e da un robusto sviluppo, che inizia in sol minore. Ma un terzo tema, cantabile e persino languido, compare in orchestra, contrappuntato da un chiacchiericcio del pianoforte. E un lungo passo in doppie note alla mano destra (con un basso da polchetta alla sinistra) con cui Stravinsky scopre come il passeggiare delle dita corte e lunghe, sui tasti lunghi e corti, possa creare un gioco piccante senza troppi problemi per l'esecutore.
La forma del rondò è a questo punto ben delineata: tanto bene che Stravinsky non riprende pari pari il tema principale ma se ne serve per un allusivo divertimento e conclude con una brevissima coda.
Il Capriccio, che molto spesso suggerisce la danza, fu coreografato parecchie volte. Ma in realtà non sopporta che attraverso la coreografia gli venga sovrapposta una narrazione. E così l'unica coreografia che possa considerarsi riuscita è quella "astratta" di Balanchine nel balletto Rubins (Rubini), seconda parte della trilogia Jewels (Gioielli). Jewels fu creato nel 1967.

 

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