Negli anni venti fu Prokof'ev a doversi
sforzare di tenere il passo, e dopo
parecchi anni di frustrazioni decise di
andare per la propria strada. Sebbene i
compositori della cerchia di Diaghilev
se ne andassero in giro a proclamare che
l'opera era defunta, Prokof'ev dedicò
buona parte degli anni venti alla
composizione de L'angelo di fuoco, un
dramma, relativamente antiquato,
sull'ossessione sessuale e la
possessione demoniaca nel quale Faust e
Mefistofele avevano ruoli di secondo
piano. Era un'opera stravagante,
conturbante, maestosa, vicina alla
visione simbolista dell'arte come porta
verso l'aldilà che aveva prevalso prima
della guerra; non sorprende che non sia
riuscita a destare l'interesse della
Parigi di Stravinskij. Prokof'ev rivolse
allora la propria attenzione a Berlino,
dove sperava che uno dei teatri statali
di Leo Kestenberg avrebbe messo in scena
l'opera. Una produzione de L'angelo
di fuoco fu programmata per il 1927, ma
il direttore Bruno Walter la annullò per
i ritardi nella consegna delle parti
orchestrali. Il lavoro più ampio che
Prokof'ev avesse scritto fino a quel
momento era sostanzialmente morto.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |